Gli anni che hanno cambiato il mondo
Questa settimana avremo probabilmente un nuovo rialzo dei tassi da parte della FED e della BCE. Si tratta di un panorama assolutamente impensabile solo due o tre anni fa. Vediamo come siamo arrivati fino a qui e quali sono le prospettive.
Dopo la pandemia e il conflitto ucraino il panorama economico globale è cambiato drasticamente rispetto al mondo di bassi tassi d’interesse, bassa crescita e bassa inflazione che era seguito alla grande crisi finanziaria del 2008.
Gli eventi che si sono succeduti a partire dall’inizio del 2020 hanno causato dei cambiamenti economici e sociali che, per molti versi, sono senza precedenti.
Innanzitutto, da una situazione in cui il pericolo era la deflazione siamo passati ad un mondo in cui la crescita dei prezzi eccede abbondantemente il target del 2% fissato dalle banche centrali. Negli Stati uniti abbiamo toccato un massimo del 9.10%, in Europa del 10.6%.
Ora l’inflazione anno su anno sta rallentando decisamente anche se molto è dovuto al cosiddetto effetto base, al fatto cioè che un anno fa si sono registrati i maggiori aumenti e quindi ora quello che viene contabilizzato come calo dell’inflazione annuale è semplicemente una riduzione dei ritmi di aumento mensili.
Cosa ha causato l’aumento dell’inflazione?
Abbiamo sostanzialmente attraversato 3 fasi nel fenomeno inflattivo globale:
1) Una iniziale inflazione da costi dovuta al fatto che pandemia e guerra hanno arrestato le catene produttive globali e reso gli input produttivi più cari.
2) Una inflazione da domanda causata dal fatto che i governi si sono imbarcati in poderose politiche fiscali espansive che, soprattutto negli Stati Uniti, hanno messo molti soldi direttamente nelle tasche dei cittadini. Questo, insieme al calo delle spese nel periodo delle chiusure, ha aumentato i risparmi delle famiglie e ne ha incrementato la capacità di consumo.
3) Una inflazione da profitti favorita dal permanere di una narrativa inflattiva che ha reso giustificati agli occhi dei clienti i rialzi dei prezzi operati dalle imprese anche quando questi non erano più mossi da un reale aumento dei costi ma solo da un aumento dei margini di profitto. Il risparmio in eccesso accumulato dalle famiglie e un’aumentata propensione a godersi la vita una volta usciti dai lockdown hanno reso questi rialzi tollerabili.
Come hanno reagito le banche centrali?
Dopo molti anni passati a combattere la minaccia della deflazione, le banche centrali si sono mosse molto in ritardo nel rialzare i tassi e nel terminare la politica di acquisto dei titoli giudicando inizialmente l’inflazione come un fenomeno temporaneo.
Tuttavia, una volta che hanno visto l'inflazione andare fuori controllo, le banche centrali hanno dato il via ad un ciclo di rialzi estremamente aggressivi. Negli Stati Uniti i tassi sono stati alzati per un totale del 5%, in Europa del 4%. Anche se l’inflazione sta dando segni di rallentamento, è molto probabile che le banche centrali aumenteranno i tassi ancora questa settimana.
Come sono state in ritardo nell’iniziare la restrizione, è probabile che lo saranno anche nel terminarla.
Qual è stato l'effetto dell'aumento dei tassi di interesse sull'economia?
Le banche centrali aumentano i tassi di interesse perché questo ha l'effetto di rallentare l'economia e l'inflazione. Questo processo non è però immediato e opera attraverso quello che viene detto meccanismo di trasmissione della politica monetaria che occupa un certo intervallo di tempo difficilmente quantificabile che viene molto vagamente definito come “long and variable”.
Inizialmente le decisioni delle banche centrali si riflettono sui tassi di finanziamento, questi influenzano l’andamento dell’economia e, alla fine, il rallentamento dell’economia dovrebbe portare a un calo dell’inflazione.
Va detto che l'economia, a fronte del brusco aumento dei tassi, ha tenuto meglio e più a lungo delle attese.
Perché l'economia ha tenuto meglio del previsto?
È possibile che l'economia moderna, che è molto più dipendente dai servizi rispetto al passato, sia meno sensibile a un aumento dei tassi di interesse.
I servizi sono infatti per definizione caratterizzati da una minore intensità di capitale e, per questo motivo, sono meno danneggiati dagli aumenti dei costi di finanziamento. Inoltre, i risparmi in eccesso accumulati dalle famiglie durante la pandemia continuano ancora a sostenere i consumi. Appare però prevedibile che il risparmio in eccesso si vada ad esaurire andando verso la fine dell’anno.
Perché il mercato del lavoro è ancora forte?
Ciò che lascia perplessi i banchieri centrali di tutto il mondo è che, nonostante un aumento così violento dei tassi di interesse, il mercato del lavoro sia ancora molto forte. Negli Stati Uniti la disoccupazione è ancora al 3,6% e anche in Europa, nonostante una crescita stagnante, è relativamente bassa rispetto agli ultimi decenni.
Il fatto è che, a causa dell'invecchiamento della popolazione, vi è oggi una carenza cronica di lavoratori, soprattutto di quelli meno specializzati. Dato che è così difficile trovare lavoratori, le aziende cercano di tenersi quelli che hanno, anche se il business rallenta.
Questo impedisce alla disoccupazione di aumentare in modo significativo e crea un contesto in cui non è inverosimile un rallentamento economico in condizioni vicine alla piena occupazione.
Perché le banche centrali vogliono raffreddare il mercato del lavoro?
Di solito, un aumento dei tassi di interesse rallenta l'economia e questo produce un aumento della disoccupazione. Chi si trova senza lavoro ha meno risorse da spendere in beni e servizi. Anche chi mantiene un lavoro sarà molto meno propenso a spendere in consumi discrezionali. Questo calo della domanda ha l'effetto di ridurre la pressione al rialzo sui prezzi e, in questo modo, contiene l'inflazione.
Nella società attuale questa dinamica potrebbe però essere cambiata. In un contesto in cui le imprese faticano a trovare lavoratori, la disoccupazione potrebbe rimanere strutturalmente bassa anche con un'economia debole.
Se le banche centrali continueranno a concentrarsi sull'aumento dei tassi di interesse per raffreddare il mercato del lavoro come in passato, c'è il rischio che possano esagerare nella restrizione danneggiando l’economia oltre il dovuto.
Quali sono le prospettive a lungo termine per l'inflazione?
L'inflazione dovuta a beni ed energia è chiaramente in calo in questo momento. Quella relativa ai servizi si sta dimostrando invece più persistente. Ci sono alcune forze che ancora puntano ad una disinflazione come la tecnologia, per esempio. L'intelligenza artificiale, solo per citare il tema del momento, comporta aumenti di produttività che verosimilmente contribuiranno a contenere i prezzi.
Vi è tuttavia un altro fattore che probabilmente non permetterà di tornare ai tassi di inflazione estremamente bassi del passato. Il mondo sta infatti attraversando un processo di (lenta) deglobalizzazione.
Le tensioni geopolitiche del recente passato spingono molti paesi a riportare a casa alcune produzioni o almeno a portarle in paesi amici. Ciò inverte il processo che ha avuto luogo negli ultimi decenni di localizzazione delle catene produttive in paesi in cui il costo di produzione era molto basso come la Cina, per esempio. Questo potrebbe avere un effetto duraturo che probabilmente contribuirà a mantenere i costi di produzione e l'inflazione più elevati rispetto al passato.
Cosa ci lasciano questi anni?
Abbiamo vissuto degli anni assolutamente inimmaginabili e attraversato crisi senza precedenti cui banche centrali e governi hanno risposto in modo veemente per sostenere economie e mercati. Ora, almeno per quanto riguarda le banche centrali, si tenta una difficile normalizzazione delle politiche e l’inversione delle politiche di acquisto dei titoli.
La vera eredità dal punto di vista finanziario sembra essere però un debito cresciuto a livelli abnormi visto che i governi si sono fatti carico di non fare affondare le economie quando queste sono state fermate. Il conto rischia però di arrivare nei prossimi anni. Solo per gli Stati Uniti si parla di un costo di 1000 miliardi di dollari annui per interessi con effetti potenziali molto negativi sulle potenzialità di crescita di lungo periodo e con possibili pressioni al rialzo sui rendimenti che diventeranno necessari per rifinanziare tutto questo debito.