Mercati in discesa: la differenza tra un ETF inverso e una posizione corta
Il trend ribassista di questo periodo ha visto un aumento dell'uso di ETF inversi. L'acquisto di un ETF inverso non equivale però esattamente ad una posizione corta
Il contesto attuale ha visto crescere la domanda per strategie ribassiste. In questo post ci proponiamo di esaminare due metodologie alternative per esprimere una view ribassista su un determinato mercato: lo short selling (vendita allo scoperto) e l’acquisto di un ETF short (inverso).
Analizzeremo vantaggi e svantaggi di entrambe.
Fonte del grafico: Topdowncharts
Short selling
Lo short selling consiste nel vendere un titolo che non si possiede (in gergo finanziario si dice “andare corti” di un titolo) con l’obiettivo di riacquistarlo ad un prezzo più basso traendone un profitto. Se ad esempio vendo un titolo a 100 e lo ricompro a 90 mi sarò garantito un profitto del 10%.
Quando si effettua una vendita allo scoperto il broker attraverso cui si effettua l’operazione trattiene il controvalore incassato insieme ad un certo margine di garanzia (ad esempio il 50%) per proteggersi da eventuali perdite in cui il cliente può incorrere nel caso un aumento del prezzo dei titoli.
Poiché si vende un titolo che non si possiede, questo deve essere preso a prestito per essere consegnato all’acquirente. Generalmente viene preso a prestito dallo stesso broker con cui si effettua la vendita. A fronte di questo servizio, il broker imputerà al cliente un ammontare di interessi proporzionale al tasso applicato sul prestito dei titoli e alla durata dell’operazione.
Costo posizione short = Controvalore * Tasso prestito titoli * Numero giorni/365
Una volta chiusa l’operazione e riacquistati i titoli sul mercato, questi vengono riconsegnati al broker ne aveva effettuato il prestito.
ETF short
Un ETF inverso è un titolo che garantisce un rendimento pari all’inverso della performance giornaliera di un determinato indice. Se l’indice sottostante scende dell’ 1%, un ETF inverso sullo stesso indice salirà dell’ 1%. Al contrario, se l’indice di riferimento sale, l’ETF inverso scenderà della stessa percentuale.
Si deve prestare grande attenzione al fatto che l’inverso della performance è garantita solo su base giornaliera. Ci si potrebbe attendere che, se nel corso di un determinato periodo di tempo l’indice scende ad esempio del 20%, l’ETF inverso salga del 20%. Questo non è però necessariamente vero, anzi, probabilmente è molto sbagliato. Su periodi più lunghi, come vedremo, il rendimento dell’ETF inverso può essere molto diverso da quello dell’indice sottostante moltiplicato per -1.
Rispetto allo short selling, gli ETF short hanno il vantaggio di non dover ricorrere all’operazione di prestito titoli.
Profitto e perdita potenziale
Sia lo short selling sia l’acquisto di un ETF inverso sono strategie che traggono profitto da una discesa del mercato. Ci sono però differenze importanti tra le due strategie in termini di profitti e perdite potenziali.
In una posizione corta il profitto potenziale è limitato al 100% dell’investimento iniziale. Il prezzo del titolo che abbiamo venduto allo scoperto non può infatti scendere sotto lo zero. La perdita è invece potenzialmente illimitata visto che il titolo che abbiamo venduto ha un illimitato potenziale al rialzo.
Con un ETF inverso la perdita è limitata al 100% dell’investimento iniziale (nel caso del prezzo del titolo scenda a zero) ma il profitto può superare il 100%.
In termini di profitto e perdita potenziale, acquistare un ETF inverso appare quindi una strategia superiore rispetto allo short-selling.
A fronte di questi vantaggi l’ETF inverso paga però un prezzo in termini di path dependency. Questo significa che la sua performance dipende anche dal tipo di andamento dell’indice nel corso del periodo di detenzione dell’ETF. In particolare l’ETF inverso tende a sottoperfomare lo short selling quando il mercato si muove all’interno di un range, soprattutto la volatilità all’interno del range è elevata.
Performance
Sebbene sia lo short selling sia gli ETF inversi traggano profitto da un mercato in discesa, la loro performance non coincide. Analizziamo tre scenari diversi.
Il primo scenario corrisponde ad un deciso trend ribassista del mercato. Entrambe le strategie sono profittevoli ma l’ETF inverso fa segnare una performance decisamente superiore.
Il secondo scenario corrisponde ad un deciso trend rialzista. Entrambe le strategie fanno registrare una perdita ma quella dello short selling è decisamente più marcata.
Nel terzo scenario il mercato si muove con volatilità elevata all’interno di un range. In questo caso la performance dello short selling è migliore di quella dell’ETF.
Come appare chiaro gli ETF inversi tendono a sovraperformare lo short selling quando il mercato è in trend (rialzista o ribassista) mentre sottoperformano quando il mercato si muove all’interno di un range, soprattutto se la volatilità all’interno del range è elevata.
Possiamo dire che, nel caso di short selling, il leverage rispetto alla posizione iniziale diminuisce in caso di scenario favorevole (ribasso del mercato) mentre aumenta in caso di scenario sfavorevole (rialzo del mercato). Il contrario avviene nel caso dell’ETF inverso in cui il leverage rispetto all’investimento iniziale aumenta in caso di ribasso del mercato e diminuisce in caso di rialzo.
Il profitto o la perdita sulla posizione corta riflette fedelmente la differenza percentuale tra il valore finale e quello iniziale dell’indice (al netto dei costi del prestito titoli). Il rendimento dell’ETF inverso dipende invece, oltre che dal valore iniziale e da quello finale dell’indice, anche dal tipo di percorso che il prezzo segue tra questi due valori. Tale caratteristica viene detta path dependency.
La meccanica di un ETF inverso
Per capire meglio il concetto di path dependency analizziamo il meccanismo alla base del funzionamento di un ETF inverso.
Al fine di garantire la replica dell’inverso della performance dell’indice su base giornaliera (-1X), l’ETF inverso viene ribilanciato ogni giorno.
Supponiamo di voler costruire un ETF inverso. A fronte di un valore dell’indice sottostante di 100 dovremo aprire una posizione corta pari a -100 in modo da poter garantire ai possessori dell’ETF l’inverso della performance dell’indice. Possiamo farlo attraverso la vendita di titoli cash o, come avviene più comunemente, con derivati.
Facciamo quindi in modo di ottenere un’esposizione pari a -100.
Supponiamo che il giorno successivo l’indice sottostante scenda del 20%. L’ETF inverso dovrà avere un rendimento di +20% e il suo prezzo dovrà salire quindi a 120. Il valore della posizione corta scenderà a 80, garantendo un profitto del 20% (100-80) che andrà a costituire il 20% di rendimento dell’ETF.
A fronte di un valore dell’ETF di 120 il valore della posizione corta è ora pari solo a -80. Questo significa l’esposizione corta ora non sarà sufficiente a garantire sul fondo l’inverso della performance dell’indice.
Supponiamo infatti che il mercato scenda ancora del 20%. Dalla posizione short deriverà un profitto pari a 16 (80*20%) ma sul fronte ETF dovrò garantire 24 (120*20%). Quindi non raggiungerò il mio obiettivo se non avrò prima incrementato la posizione corta per un valore equivalente a -40 portando la mia esposizione corta a -120, in linea con il valore dell’ETF.
Dunque per garantire che la performance dell’ ETF sia pari alla variazione percentuale inversa dell’indice su base giornaliera dovrò ribilanciare ogni giorno la posizione corta.
Supponiamo il caso opposto in cui il primo giorno l’indice sale del 20%. A fine giornata il valore dell’ ETF inverso dovrebbe scendere a 80 mentre il valore dell’ esposizione corta salirebbe a 120. A fronte di una ulteriore salita del 20% dell’indice il giorno successivo, il prezzo dell’ETF dovrebbe scendere di 16 (80*20%). In assenza di ribilanciamenti però la posizione corta perderebbe 24 (120*20%), un ammontare maggiore a quello richiesto per garantire sull’ETF la performance inversa dell’indice. Dovrò quindi ridurre la posizione corta riacquistando un valore pari a 40 e riportando così la mia esposizione a -80, in linea col valore dell’ETF. In questo modo, un rialzo dell’indice del 20%, produrrà una perdita sulla posizione corta pari a 16 (80*0.20%), garantendo una performance pari all’inverso dell’indice.
Questa continua attività di rebalancing fa sì che l’ETF venda quando il mercato scende e compri quando il mercato sale. La volatilità tende quindi nel tempo ad erodere il valore dell’ETF inverso.
In caso di volatilità pronunciata, il regolare rebalancing dell’esposizione, causerà una sottoperformance dell’ETF inverso rispetto allo short selling. In caso di mancato ribilanciamento della posizione, l’ETF inverso si comporterebbe come uno short ed il profitto massimo sarebbe limitato al 100% dell’investimento.
Per completezza dell’informazione va sottolineato come i primi due scenari presentati sopra siano estremizzati per dimostrare le proprietà delle due strategie. Generalmente i mercati non salgono o scendono in linea retta ma tendono a muoversi attraverso oscillazioni dei prezzi che hanno l’effetto di “consumare” nel corso del tempo il valore degli ETF inversi.
Tiriamo le somme
Per concludere possiamo dire che, sebbene sia lo short selling sia l’acquisto di un ETF inverso consentano di trarre profitto da una discesa dei mercati, il rendimento e il profilo di rischio delle due strategie può essere significativamente diverso.
L’ETF inverso presenta dei vantaggi in termini di semplicità dell’operazione e di costi (si evita il prestito titoli), in termini di perdita massima che è limitata all’investimento iniziale e di profitto potenziale che può superare il 100%. In tutti i casi in cui il mercato è in trend l’ETF inverso tende a performare meglio della vendita allo scoperto. A fronte di questi vantaggi, l’ETF inverso vede il suo valore eroso dalla volatilità, soprattutto quando questa avviene all’interno di un range.
Nel caso della vendita allo scoperto, il rendimento della strategia riflette puntualmente la differenza tra il valore iniziale e quello finale dell’indice sottostante e non è influenzato dal percorso seguito dai prezzi nel corso della vita dell’operazione. L’erosione del valore dell’indice sottostante ad opera della volatilità (si veda questo post per un’analisi del volatility drag) gioca in questo caso a favore della posizione corta. Questo però a fronte di una perdita potenzialmente illimitata e di un profitto limitato.