Quando stabilità economica e finanziaria divergono
Economia reale e sfera finanziaria sempre di più hanno viaggiato su piani distinti negli ultimi anni. Che cosa succede quando i tassi di equilibrio non sono uguali?
Sono tornate a sovraperformare le commodities in una settimana in cui il taglio della produzione da 2 milioni di barili al giorno da parte dell’OPEC+ è arrivato come uno schiaffo in faccia all’Occidente. Lo stesso Biden, sfidando le critiche di chi non vuole trattare con uno stato dove i diritti umani non vengono rispettati, si era recato in Arabia tre mesi fa per perorare la causa di un AUMENTO della produzione. Ora invece l’OPEC+ decide il maggiore taglio alla produzione dall’inizio della pandemia.
Da parte dell’OPEC+ e dell’Arabia, che è il suo leader de facto, si tratta di una presa di posizione a favore della Russia in quanto prezzi più elevati contribuiscono a salvaguardarne i profitti anche a fronte di una riduzione delle esportazioni.
Le motivazioni addotte citano previsioni di riduzioni della domanda a fronte del rallentamento economico ma la decisione è prettamente politica e va nel senso di un ulteriore compattamento del fronte dei paesi produttori di materie prime in ottica anti-Occidentale. Ne è la prova la reazione estremamente contrariata della Casa Bianca che ha definito la decisione non necessaria e inopportuna.
Gli USA hanno deciso un nuovo rilascio di 10 milioni di barili di riserve strategiche che sono già scese di circa 155 milioni di barili da quando il 31 marzo il presidente ne ha autorizzato l’utilizzo. Il calo delle riserve strategiche lascia naturalmente gli Stati Uniti più vulnerabili rispetto ad episodi di distruzione dell’offerta e potrebbe avere l’effetto di limitare le esportazioni statunitensi di prodotti dell’energia visto che la priorità è far fronte ai bisogni interni. A rimetterci potrebbe quindi essere proprio l’Europa.
Da qui il rialzo del prezzo del petrolio che certo non gioca a favore di una minore aggressività delle banche centrali nella restrizione monetaria.
Non è piaciuto ai mercati neanche il report sul mercato del lavoro statunitense che è uscito ancora forte e questo implica probabilmente una FED che continua nei rialzi.
Non provate a spiegare perché gli operatori finanziari sperano in dati economici deboli o addirittura in una recessione a chi non fa parte di questo settore; - giustamente- non capirebbe.
Sta infatti diventando evidente che la finanziarizzazione estrema e l’uso della leva monetaria che abbiamo fatto in questi anni stanno diventando difficilmente gestibili.
Si è molto discusso in questa settimana del fatto che il tasso di interesse di equilibrio dell’economia potrebbe non coincidere con quello che garantisce la stabilità finanziaria.
In particolare, i tassi bassi dell’ultimo periodo storico, che hanno favorito l’accumulazione di uno stock di debito globale di 300.000 miliardi di dollari, potrebbero aver spinto al ribasso il tasso d’interesse che garantisce la stabilità finanziaria. Questo tasso potrebbe essere inferiore a quello che garantisce l’equilibrio macroeconomico.
Vi è cioè un certo livello oltre il quale l’instabilità finanziaria diventa estremamente difficile da gestire e i costi ad essa associati difficilmente sopportabili.
Nel 2008 è risultato evidente come il costo dell’instabilità dato dalla crisi dell’intero settore finanziario sarebbe troppo alto per non intervenire nonostante il salvataggio minasse le basi stesse del sistema capitalistico. Le distorsioni al funzionamento del mercato indotte da quell’ intervento ce le portiamo ancora dietro.
Oggi ci troviamo probabilmente in una situazione che potrebbe avere degli aspetti analoghi. Il dietrofront di Bank of England che ha ricominciato gli acquisti di titoli per evitare il default dei fondi pensione che non riuscivano a soddisfare le richieste di collaterale a fronte di perdite su contratti derivati mostra come il sistema attuale sia un meccanismo estremamente delicato che può incepparsi in modo assolutamente inaspettato. Che cosa sarebbe successo se i fondi fossero defaultati e le controparti non avessero ricevuto il collaterale?
Il grande interrogativo in questo momento è quindi quanto il mercato può reggere senza disfunzioni alla velocità di questi movimenti al rialzo dei tassi in situazioni di assoluta illiquidità .
Le banche centrali devono interrogarsi anche su questo. Anche perché, come dimostrato da BOE, non siamo ancora pronti ad un riallineamento tra economia reale e finanziaria che potrebbe comportare dei costi altissimi. Quindi, per il momento, in presenza di disfunzioni di mercato le banche centrali sono costrette a fare precipitosamente marcia indietro.